Vittorio Sgarbi

Un’arte intima ed universale

Storico dell’arte, profondo conoscitore delle sue terre, Ottorino Stefani ha scritto fondamentali studi sul Canova ed una serie di raccolte poetiche che hanno vinto prestigiosi premi. Ha scritto anche un saggio “Itinerari autobiografici” in cui è riuscito a mettere in luce alcuni aspetti fondamentali del suo lungo percorso nel campo delle creazioni pittoriche.

E tuttavia, come sappiamo, ci sono soluzioni espressive, in ogni opera d’arte, che sono dettate dall’inconscio e che uno storico o un critico d’arte può interpretare con sensibile aderenza psicologica ed estetica. Freud stesso, del resto, maestro insuperato della psicanalisi, mentre indagava con penetrante analisi l’inconscio dei suoi pazienti (e anche di altri personaggi dell’arte e della letteratura) si trovava a disagio nell’analizzare le sue intime aspirazioni morali ed esistenziali. Penso che Stefani, nella mia introduzione, attenda una “nuova” lettura del suo itinerario creativo per meglio conoscere ciò che vive in fondo alle sue interne e talvolta misteriose tensioni creative.

Tenterò, quindi, di contribuire ad allargare le indagini sulla sua pittura: non solo confermando la validità interpretativa di altri autorevoli studiosi, compreso me stesso, ma anche azzardando altre ipotesi critiche, forse non ancora sufficientemente messe in luce nei saggi finora scritti sulla pittura di Stefani. In primo luogo ribadirei che il trait d’union fra Stefani e l’arte moderna è segnato dall’adozione del post-impressionismo come punto di partenza e, per certi versi, anche di approdo. Un post-impressionismo sostanzialmente coerente con la storia e con se stesso, ma con qualche leggera differenza d’orientamento fra serie di soggetti e soggetti: più cézanniano negli amati paesaggi del Montello e di Breganze, su cui ho scritto due saggi, luoghi del cuore e dello spirito anche se aderenti agli interni umori delle stagioni della terra.

La visione pittorica di Stefani è più cromaticamente espressionista nelle scene d’interno e, in generale, in tutti quei lavori (quasi un diario visivo dell’artista), pieni di sotterranee, ma comunque evidenti pulsioni vitalistiche. Pulsioni che seguono una linea stilistica che storicamente parte dai Fauves e passa per le diverse esperienze della pittura italiana e, in modo particolare, in quelle di tante opere di Gino Rossi. Un pittore che ha ispirato molti dipinti di Stefani, nella serie dedicata ai colli asolani (anni Novanta): felice approdo ad un mondo interiorizzato dalla sua complessa personalità sempre attenta a creare un armonioso rapporto fra natura e cultura. Infatti nell’artista trevigiano vi è, innanzitutto, una capacità di tenere sotto controllo le tendenze più apertamente espressioniste: quelle fauves in primo luogo, attraverso un senso della misura che è tipicamente italiano. Si tratta di un equilibrio che emerge non solo nelle epoche classiche, ma anche nel Novecento, e in ambiti non votati programmaticamente al recupero delle istanze rinascimentali: per esempio in Morandi, il quale, come ho già affermato in una precedente circostanza, ha avuto certamente un peso di rilievo nelle prime inclinazioni espressive di Stefani.

L’altra componente rilevante, del lavoro dell’artista, è la felice “immersione” nella tradizione pittorica trevigiana e veneziana per quanto possa essere ritenuto non nazionale, in arte, un preciso riferimento al Veneto. Alludo alla continuità che la pittura di Stefani, pur essendo ancorata in maniera stabile alla modernità, stabilisce con la storia del colorismo veneto. Una continuità tanto più spiccata quanto più riconducibile al percorso che porta dalla scuola di Giorgione e di Tiziano al Rococò, con punte di massima tangenza nelle effusioni sensuali di Sebastiano Mazzoni e di Giambattista Tiepolo. Si tratta di una tendenza che non viene affatto disconosciuta quando viene rapportata al Novecento: per esempio attraverso il confronto con Mario Cavaglieri che, soprattutto nella fase dopo il 1920, meno “vulcanica” del decennio precedente, sembra essere un rimando obbligatorio per certe ambientazioni di Stefani, di sapore dannunziano, dolcemente decadenti (si vedano, a proposito, le opere ispirate a Renoir, Bonnard e Monet).

Il risalto concesso, in questo modo, al colorismo veneto, si riflette nell’opzione iniziale della pittura di Stefani – Il post-impressionismo francese – come se fosse il suo presupposto non solo storico, ma anche logico. Infatti è al colorismo veneto che dobbiamo il primo tentativo moderno di esprimere in termini di empatia, ovvero di corrispondenza fra senso, impressione, emozione, il rapporto che l’arte è in grado di stabilire con la natura. È il colorismo veneto il fondamento della modernità artistica, senza disconoscere, naturalmente, la continuità con la visione figurativa dell’arte greco-romana.

Tutto ciò, racchiuso in un discorso espressivo assolutamente individuale, dai toni spontaneamente lirici, indubbiamente colto (ma senza far trasparire alcun eccessivo esibizionismo culturale), si può leggere nella pittura allo stesso tempo intima e universale di Ottorino Stefani.