Carlo Munari

La collina amata

La pittura di Ottorino Stefani è un atto d’amore verso il Montello. Per quanti anni Stefani ha provato e riprovato quei colori, quelle forme, ha tentato del suo Montello un’immagine che non fosse una rappresentazione verista– e perciò sterile e inerte – ma la proiezione esatta di una emozione? Credo che l’abbia tentato sin da ragazzo, quando il tramonto ancora lo coglieva fra i campi, sulle colline. Credo anzi che quell’immagine Stefani se la sia portata dentro, ovunque sia stato nel mondo.

Il Montello era per lui il centro della rosa dei venti: amore come dolce dannazione.

Poi, il ragazzo si è fatto adulto ed è venuto a contatto con la cultura e i problemi ch’essa comporta. Ha constatato come fosse nel giusto quando aveva rifiutato il vedutismo dei veneti minori – quell’inflazione paesaggistica che potrebbe tornar comoda soltanto ai propagandisti del turismo – e, per contro, quando aveva istintivamente apprezzato il suo grande e sfortunato conterraneo: Gino Rossi. L’immagine doveva essere dunque portata al grado più fondo di interiorizzazione, e a questo processo si applicò l’artista ormai maturo. È un processo che dura ancora, dimostrando in pari tempo la serietà e la costanza della ricerca; che dura ancora, nonostante la bontà di molteplici esiti. Infatti vi sono quadri, nella vasta produzione odierna di Stefani, che si costituiscono a guisa di pagine di poesia, così densi di agresti umori, così freschi di luce, così intimamente raccolti in un clima di meravigliata scoperta. Non si tratta di pittura facile. La semplicità – o, per dir meglio, la purezza formale – è la conquista più ardua di Stefani, è l’obiettivo che, sul piano linguistico, appunto si pone quel processo d’interiorizzazione a cui si alludeva e che egli persegue assiduo.

Il quadro è costruito con pazienza cenobitica, pennellata dietro pennellata, e tutte insieme ricondotte a un intento tettonico. Immaginate la severità di un cézanniano, ingentilita dal soffio di una lirica di Laforgue.

Così, attraverso la pittura di Stefani, trascorrono i giorni e le ore, le stagioni del Montello, trepidamente rivissute nell’anima e deposte nella sfera della memoria poetica: nitore di mattini primaverili, crepuscoli rossigni come se il mosto fosse salito al cielo, ombra umidiccia di boschi, ricami fantastici di neve.

È proprio un atto d’amore, questa pittura, schietto e vivo, e vigoroso, anche, nella sua gentilezza.

Mi dico ch’è pittura destinata a durare contro i gusti e le mode mutevoli: per la serietà di cui è innervata, per la verità dei sentimenti che esprime. Una pittura moderna col cuore antico.

agosto 1963