Poesie

Guarda la tua terra

«Se vuoi sentirti puro
guarda la tua terra».
La terra non è come tu dici
arido deserto…

Umbratile nei violacei crepuscoli
arco rugoso nei dipinti,
agonia naturale del creato.

La terra è verde vertice
«più preziosa d’ogni vista»
a primavera: taglio luminoso
della falce paterna alla sera.

«Non dimenticare l’attesa del miracolo
la folgorante estate».

Fanno parte della nostra vicenda
il cielo e l’albero se agita fronde rigogliose,
la casa deserta dove entro
col cuore sospeso: separo con la mente
il margine dell’orto vicino.

Mentre scruto bassi orizzonti
salgono la nebbia e il fumo
di piccoli falò di sterpi.

Non altro oso dirti:
«verrà presto il tempo
delle piogge interminabili
del vento» (il nostro rifugio era
sorgente di furiosi litigi
per poche lire guadagnate
con astuzia al gioco:
ognuno osservava
un segno su carte consunte).

[dalla raccolta Orologio di stelle, 1995]

 

Borgo lontano

Borgo lontano
non credevo così vivo
sentirti nel dolore
dei giorni ancorati nel tempo.
Tra le tue vecchie case
isolate, la tua anima,
e il gesto armonioso
d’una voce spenta.
Ritorna l’angoscia
della mia solitudine immensa
nel pianto metallico
della pioggia sulle lamiere.

[dalla raccolta Terra rossa, 1963]

 

Case

Case compenetrate
sugli erti declivi
o isolate nel silenzio
delle campagne:
avvolte nei chiusi tepori
sull’ampio destino della luce!
Dove le città vi costringono
sui quadrilateri delle strade,
tra le grigie spirali di fumo
si libera il desiderio dell’uomo.
Coperte di salmastro
o biancheggianti di giovinezza
il pallido crepuscolo vi rende
i fantasmi rumorosi delle voci.
Dentro al vostro cuore
i geroglifici umani si consumano
nell’ansia del tempo che muore.

[dalla raccolta Terra rossa, 1963]

 

L’onda azzurra del Montello

Un velo di nebbia sale sui colli
(lampeggiante ritorno di rondini
nella mente sbiancata dall’evento):
“La mente, tu dici, unisce frammenti
Sale dal buio di penosi precipizi,
s’ingorga nel ritmo sonoro di piogge
su lamiere arrugginite, dove sosta
l’ombra solitaria della madre:
luogo arcano d’una voce mai stanca
di aggirare l’ostacolo, di rinnovare
il fermo pallore d’alba estiva”.
Tra le pietre del portale spuntano
ciuffi d’erba tra interstizi d’ombre…
(il ricordo si tramuta in rimorso.
Parola inerte nell’oscuro mutare
degli eventi, ansia che imprime
nel cuore il vuoto d’un giorno
senza fine, quando l’ombra materna
allontanava l’informe evento, ed era argine
segreto: l’onda azzurra del Montello.

[dalla raccolta inedita L’orto del destino, 2008]

 

Sulle rosse colline

Sulle rosse colline
“tranquilli cantavano i boschi”
di rugginose acacie.
Scrutavi l’infanzia come oggetto posseduto:
tremore
d’una vita sconosciuta.

“Anche il male deve pur finire,
ma non cantar vittoria”

C’era nel cuore brama di luce
tra ricami di nebbie nella pianura.
Poi venne l’ultima vampata
rosa sulle cupole grevi dei castagni.
Scendevano cigolanti carri di fieno.
Vivide farfalle
(“quando l’erba è nuova vita
e lievi son le rose di loro aromi”…) .
Soltanto gesti, verghe sibilanti:
“non c’è luogo
per l’allodola fissa nella mente”…

Ma le parole, le parole:
tratti d’un destino informe,
rovi, devastanti cespugli,
spine d’un possibile martirio.

[dalla raccolta Orologio di stelle, 1995]

 

Ecco la tua primavera

Ecco la tua primavera che si avvicina cauta
con tenerissimi fili d’erba.
Il sentire quanto da te s’allontana
questa mia povera immagine del mondo mi addolora.
Mai più si rinnova la luce
che un giorno rivelò il tuo volto
la tua sembianza vera, la tua età incerta
di limpida giovinetta.
Ti fermai vicino alla fonte azzurra
mentre grandi nubi e ombre
risalivano minacciose la grande pianura.

[dalla raccolta Viaggio al mio paese, 1968]

 

Il sale della vita

Tra profonde doline rivedo ancora,
idolo di pietra, il vecchio falciatore.
Risento il martellante battito
per affilare la ricurva lama:
canto che animava la deserta collina,
sonoro battito d’un cuore d’acciaio.
Un vento lieve sfiorava l’erba e i fiori,
in un ultimo palpito di vita,
mentre alta la rosea fiamma dell’aurora
scendeva su di te, collina amata e ritrovata
oltre il velo delle estreme finzioni;
misura suprema di “silenti paradisi”,
anche dove insidiosa la vipera si muove
e la terra porta i segni di ferite aperte:
i nomi degli eroi incisi sulle pietre dell’Ossario…
Il padre è ancora dominatore del tempo;
seminatore evangelico,
percorreva lucenti campi arati.
Maestro inconsapevole si è adeguato
alle stagioni della semina e dei raccolti:
“la sempre-splendente origine”.
Assecondava il tempo della natura:
“Nello scontro di vento e maltempo”
madre benigna?…
Indivisa dal mio animo trepidante
la voce materna, sul limitare
dell’ombra azzurra tra le acacie.
Ansia d’una luce mai spenta
il suo volto non temeva la morte:
fiore incorrotto d’una stagione che continua
sulle verdi colline oltre i confini
del male e del bene, il sale della vita…

[dalla raccolta inedita L’orto del destino, 2008]

 

Giocatori di carte

Il lento alternarsi dei colori
che trasudano pigre certezze,
la pioggia che stende un velo
fumigante sui prati, il profumo
della acacie in fiore.
Il rumore impressionante
d’un carro trainato da un cavallo al galoppo,
lo spiraglio di luci che trascolorava
cortine di nebbie sulle terre arate.

I giocatori di carte in una stalla
erano come raggelati
nel rito silenzioso d’un dipinto.
Pioveva sopra un tavolo traballante
un cono di luce gialla e densa:
«da tagliare col coltello»
suggeriva sornione lo zio.
Al paese ricordano le sue battute
e le sue mitiche bevute…

Cantore solitario della notte riversava
sulle vie la sua ombra traballante:
attraversava, così, la vita
con un bicchiere di vino spumeggiante,
cavalcando «La sposa felice» di Chagall:
l’effimera gloria d’una giornata di neve.

[dalla raccolta Orologio di stelle, 1995]

 

Orologio di stelle

I
Impulsi sotterranei, forze
sorprendono fiumi, erbe avvizzite,
oroscopi evanescenti,
microscopici segni
nel tumulto d’una luce informe…
(gratificante ormeggio penetra
nelle increspature dei campi arati).

Lontano è l’orizzonte del paese:
giardini abbandonati al loro destino.
«Colle santificato dal sangue degli eroi»?
(o non piuttosto «selva oscura»,
animale pronto
come sempre all’olocausto?)…

«Se ritorni straniero al tuo paese
non sostare a lungo vicino alla tomba
d’un amico. La vecchiaia ti porti
l’ebbrezza d’un vento tiepido,
il profumo lieve d’un vino color rubino!
Il dolore non sia testimone ossessivo
della terra: crescano i tuoi figli
come erba rigogliosa!»…

II
Ormai per me, amico, approdare
alla terra dei padri è scrutare
lontani chiarori offuscati,
stormi d’uccelli e folate
di piogge su deserti cortili:
solo lamiere
mentre l’acqua gorgheggia nelle grondaie…
(Il brusco risveglio, il vagare
dei discendenti che hanno smarrito
ogni lingua sicura…
Essere almeno un’ora dove la casa
era tenda nel deserto!
Luogo vivificato dal fuoco incessante
del lavoro: l’impugnatura
d’un vecchio coltello, l’aratro
che tracciava tra verdi prati
e i falò s’accendevano sulle colline!)…

Ma i miracoli non si ripetono
anche se la parola colpisce nel segno:
le foglie calpestate sono simulacri
ai confini imprecisi della morte.

Apparizione del tempo
il fulmine giorgionesco
ramifica nel cielo incombente.

Da sempre l’orologio di Góngora
è in agguato: segna l’istante
rovinoso per tutti!
Il sapere, il tempo, l’amore
non attraversano le stelle…
Anche il mandorlo in fiore
è interna bacca, piccolo verme!

III
Accanto alla foglia malata
vive imperlata di rugiada
la foglia rigogliosa.
La parola velenosa si alterna
alla festa tumultuosa d’un paese!
L’orologio di stelle spia
il percorso tortuoso
del tempo rimasto.
Mostruoso congegno dai battiti perfetti,
freccia roteante che raramente
segna un’ora felice:
guglie inaccessibili le altissime torri,
le insegne luminose, i numeri romani
in fondo ai tuoi occhi: attimo
di luce eterna, mentre rintocchi
segnano un tempo mai posseduto!

[dalla raccolta Orologio di stelle, 1995]

 

Terra rossa

Terra rossa che dilaghi,
tra basse case e campagne
desolate, le scarne piantagioni.
Per me sei stata la madre
che fermava con l’incenso dell’ulivo
acceso sul portale, acre
nel respiro del vento, la tempesta.
Scrosciava a folate
sulle lamiere impazzite
e sui vetri, un gioco crudele
di sassi spenti nell’acqua.
E nel padre sei stata
la forza generosa dell’uomo
che si piegava come un giunco sottile
per aprire al tuo cielo
i tuoi doni più rari:
il segreto di rugiade
che fioriva arcobaleni
tra le falci sicure
nei mattini sereni…

[dalla raccolta Terra rossa, 1963]

 

Il suono d’una campana

Vicino al ciliegio fiorito ascoltavi
un tempo, il suono armonioso
delle campane della vicina chiesa.
Ora l’incantesimo è interrotto:
trabocca la luce diffusa
tra alberi rosseggianti e prati autunnali.
I pensieri si diradano
nella scena muta del mondo:
s’inerpica lontana l’ombra
che risale il pendio del bruno colle
mentre guardi un fiore
appassito tra le crepe riarse del suolo…
Ora senti dentro il cuore un vuoto
d’ombre solitarie: il ricordo di un mare
pulsante di sinistri bagliori…

[dalla raccolta inedita L’orto del destino, 2008]

 

La verde collina

Se la mente si ostina a richiamarti,
le pagine d’un diario futile
si animano d’inconsuete parole.
Cerco allora il filo sottile del conforto,
la collina rinverdita dalla fertile stagione,
gli alti pioppi che svettano
oltre l’argine del fiume, il biancore
lattescente delle ultime nebbie:
quale altro mistero potrei svelarti?
L’incontro, tu affermi, avviene per altre vie:
rive solitarie dove incombono cieli sconvolti,
fantasmi di foglie impigrite nell’ombra…
Ma oramai è tardi per dirti questo ed altro:
per te la linfa è lieve, purpurea
la gemma che morde la scorza del vecchio albero.
Tu resisti alle bufere di neve, attendi
lo splendore della terra arata,
l’ondeggiare dei campi dorati sulle colline.
È tardi per chi scruta con tremore
il mattino: debole spiraglio che avanza
tra cristalli evanescenti, ingorgo
della memoria sospesa tra felicità e smarrimento,
mentre un cuore a te per sempre legato
filtra il tempo che rimane: terre confinate
nel ricordo d’una crescita tumultuosa,
freddo minerale del presente, polvere
sferzata da un vento silenzioso.

[dalla raccolta I treni di De Chirico, 1985]

 

Un bene antico
in ricordo di Mario Rigoni Stern

Nella voce che perdura e s’azzurra
nel sole dei monti, torna amorosa l’ombra
che riaccende l’«eterna margherita» di mia madre.
Intangibile volto inciso nel bianco
della volta celeste, punto luminoso del passato,
nevosa cima illusa dal soffice manto
che lotta con la primavera,
sguardo in trasparenza, pentagono esatto;
inquieto vagare nell’abitacolo del cielo
che trasporta il mio peso ancora umano.
E tu, che al limite di queste nubi strappate
premi le maglie della tua ansietà,
e scopri bagliori in armonia col creato:
resisti, voragine di linfa perenne,
oltre i gelidi barlumi della neve.

[dalla raccolta Un gelido furore, 1973]

 

Valbella

Sulla pista azzurra d’ombre,
Rosa volteggiava come un gabbiano:
«guarda i tuoi colori» e indicava il teatro
dell’Altopiano, fiera d’aver sorpreso
i compagni nel destreggiarsi
nelle ripide discese fra i sassi…
L’oro fulvo di Bisanzio appariva a scaglie
in un mare di nubi tempestose:
«i miei colori», pensavo, «vivono nel profondo
brulicanti d’incertezze, cercano radici,
forse informi germogli pronti alla rinascita».
(Rivedevo intatte nevi: Monte Tognola,
Monte Cristallo, paurose cadute
come segno della vita che imperversa,
indolenza e distrazione d’un sogno breve…).

«Finalmente», disse mia figlia, «la pista
prediletta!»… Luogo di danze consentite
inseguivo tenace la mia preda… Nel sorpasso
mi girai pronunciando ad alta voce:
«Rosa»! …………………………..
Come un’eco misteriosa la valle
s’infiammò dun rosa visto dall’Angelico!
La luce d’un sole di porpora filtrava
tra nubi grigioviola nell’oscuro presentimento
della sera: fiore incorrotto nel campo
sterminato delle nevi il rosa
emanava intatto…
Quale potere agisce nella mente
che consuma il desiderio!
Quale terra promessa o sera senz’ombra
può rinnovare la trama d’una crescita perenne?

[dalla raccolta Orologio di stelle, 1995]

 

Ritratto della moglie. (Dialoghi)

Renoir:
“Le giovani donne che dipingo
hanno il tuo volto. Il possesso della mente
è misterioso come il tremito lontano
dei tuoi occhi, il tuo corpo in riva alla Senna
l’attesa dell’aria estiva:
turbinio dorato che ti avvolge.
Vedevo il tuo corpo frammentarsi
in rosa screziati da riflessi d’argento
e le ombre brune nel cielo alto
e la profonda quiete dei sensi.
Eri il sogno di sempre: la Venere di Dresda,
sfiorata dal drappo biancheggiante
dipinto come un mare in tempesta da Tiziano.”

[dalla raccolta inedita L’orto del destino, 2008]

 

Una dura fede

La vita s’insinua in queste candide strade
dove senti il buio mormorare le sue ovattate voci.
Cerco anch’io il passo che sale
al grigio lastrico dell’inverno
che annuncia un lungo assedio: le croci disperse
come ali nel cuore delle contrade.
L’universo s’annida nell’anima,
allo sgomento tranquillo delle forme assiderate:
un variare che preme sui vetri destando
profili di un crudele ricordo.

«Quello che è stato passa attraverso l’eternità»:
«Le parole si muovono, la musica si muove
Solo nel tempo; ma ciò che soltanto vive
Può soltanto morire…».

Nel transito della tua ombra ferita
da un gesto familiare (incauto potere
di chi non trova un principio)
cerco il motivo che ritorna ostinato
dove il bianco, inerme nel vento,
«sfoglia tutti i sogni del passato».
E cerco in te, Alma, una dura fede nella vita,
la guida umana che riporti
almeno un giorno alla luce meridiana.

[dalla raccolta Un gelido furore, 1974]

 

Ca’ d’Oro

Al tramonto eri arabescato schermo,
diaframma della mente
che non conosce il peso inerte
delle pietre, Trasparente inganno,
riflesso sulle acque del canale.
Si muove, sulla scia d’onde,
il profilo di una gondola;
una fanciulla guarda assorta
il miracolo d’un sole dorato,
come il volo d’un gabbiano
che ora sfiora lo specchio semovente:
memoria del futuro?
O traiettoria fulminea
dell’ansia che opprime l’anima?
Forse la tua risposta è incerta
come il tremolio iridescente delle acque.

[dalla raccolta inedita L’orto del destino,

 

“Quartetto veneziano”
in memoria di Paolo Rizzi, 2008]

L’isola di San Giorgio

Spirito del tempo e delle acque
la chiesa palladiana si staglia
nell’azzurro infinito: miracolo di pietra
nella luce di madreperla,
sospesa memoria del genio che sconfigge
il vuoto disadorno (nel rettifilo della scia
delle onde si muovono iridescenti
fantasmi, forse il ricordo lontano
di campi fioriti ai piedi delle colline amate)…
Isola del silenzio e dell’armonia
ritrovata nell’interno della chiesa.
Le cupole altissime, sospese
nel biancore lattescente della luce
riflessa sullo sfondo dorato
d’una “Sacra conversazione”:
la vita “sommamente grata al Signore”.

[dalla raccolta inedita L’orto del destino,

 

“Quartetto veneziano”
in memoria di Paolo Rizzi, 2008]

Venere dormiente

A lungo ti ho cercata come onda musicale
che si espande leggera
nel cuore d’una terra amata.
Onda che s’adagia tranquilla
dopo la tempesta e pallida affiora
nella vibrante luce che si posa
sul prodigio incontaminato di una nuova primavera.
“Levigatissimo avorio il tuo corpo”
riposa nel candore del drappo e nel rosso cuscino
dipinto da Tiziano:
ingorgo di luce mai vista,
sogno d’amore senza confini.
Ma nel mio cuore sarai sempre
“Fiore profumato di ogni virtù”,
divina sembianza sospesa
tra “ubertosi colli” e valli ombrose
e case inerpicate su faticosi pendii.
Le chiome degli alberi sono l’eco dei tuoi seni:
sfiorano dorate nubi “cariche di sogni narrati”.
Nubi che si disperdono nell’azzurro infinito

del primo mattino del mondo.

[dalla raccolta Trittico per Giorgione, 2007]

 

Un bar alle folies-bergère

Mallarmé:
«Difficile entrare nell’aria densa
di un quadro che respira ed illude
universi che sfumano, diaspore
di esitanti primavere, perdute
dimensioni di un’incredibile profondità,
incauti prodigi della memoria.
Il passato preme e si moltiplica
ai margini di un’ombra trasparente.
Ma l’azzurro vince. Come un suono
di campane attraversa l’anima, malinconico
trionfa sull’improvviso lucore dorato
dello specchio (fredda acqua entro
cornice dalla noia gelata, sguardo
che riflette un’ombra desolata)»…

Manet:
«L’alta, la cupa fiamma, del mio vecchio cuore
non si è ancor spenta e il ricordo della giovinezza
fiorisce nel petto gonfio di vita, nel volto
perfetto e assente, nella bocca carnosa,
nel ben tornito collo. Soltanto negli occhi
la tristezza dell’isolamento, forse la ricerca
di una quiete colma di delizie ignorate.
Ma le mie mani come vedi sono vicine alla morte:
muscoli gonfi di veleni che non seguono
l’impaziente veemenza di creare volti e figure
vicine alla sorgente sicura dell’umana esperienza».

Mallarmé:
«Ora comprendo l’ansietà, il timore
impresso al ritmo della pennellata,
la luce inquietante che avvolge a spirale
le forme: stratificata visione
sull’orlo della distruzione?
Il tuo lavoro è stato il canto liberatore:
un lampo abbagliante, l’ala d’un gabbiano
che sfiora lo specchio misterioso del mare.
Il dolore atroce ha illuminato la tua mente,
purificato lo spazio dal tumulto della città,
allontanato il vuoto incombente del persecutore
(l’insidia dell’uomo appostato sull’angolo
come un falco pronto alla violenza)…
Penso questo ma anche alla vita
come oscura riluttanza, angoscia della fuga,
attraverso un deserto sterile di Dolori»…

[dalla raccolta I treni di De Chirico, 1985]

 

Nota biografica

Forse un sonno preciso mi ridarà il miracolo
di una prosa informale, le lettere scritte in sogno,
il furore domenicale, le parole tracciate col gesso
sui muri scalcinati, le risse con i compagni
amati, le partite irrisorie di carte consumate,
le serenate all’ombra obliqua della luna,
i canali feriti da un sasso lanciato
con vagabonda tenerezza, e la scintillante rugiada
e la nebbia che evapora misteriosa
tra lucciole impigrite: “Il privilegio di essere vivi”?
Vicino alle profonde leggi,
sul fiume lucido del Piave neri uccelli
s’agitano in frequenti stridori,
il timore della casa eretta a sostegno
delle nubi, un paesaggio rarefatto rivive
nelle macchie informi dei miei colori,
nell’ombra ovattata da una luce infaticabile
in ogni foglia che si muove
nel dilaniante umore della pioggia.

[dalla raccolta Viaggio al mio paese, 1966]